martedì 2 febbraio 2010

Protezione Civile, Lo scandalo Cavallerizzo.

SPRECOPOLI ITALIANA 
Calabria, un paese franato e una ricostruzione da 60 milioni di euro già con un anno di ritardo. Le nuove case rischiano di restare disabitate.
Dal giornale nazionale "Il Fatto Quotidiano"
del 29 gennaio 2010 
scritto da Antonio Massari

Nella “new town” è quasi ora di pranzo ma non c’è traccia di pentole e tavole imbandite. L’orologio del vecchio paese è stato sostituito da un contatore elettronico. Segna i giorni che mancano all’inaugurazione: “Meno 359”. Il cantiere è in ritardo. E il contatore l’hanno resettato già una volta. Potrebbe non essere l’ultima. Qui c’è traffico di betoniere cariche di cemento. C’è il vociare degli operai. Calendario alla mano, però, avremmo potuto incontrare bambini che escono da scuola. O quantomeno: gente carica di masserizie. Non c’è ombra di traslochi in corso. Non c’è ombra della scuola. Neanche sulla carta. Nessuno l’ha progettata. Alle spalle delle nuove case si staglia il vecchio paese: Cavallerizzo. Fu colpito a morte da una frana, il 7 marzo 2005, e per entrarci bisogna scavalcare un cancello. A duecento metri dalla frana, che è ancora visibile, c’è una famiglia che ha trasgredito il divieto d’accesso, imposto a tutti gli abitanti. Nel salone di casa cuoce la carne al ragù. E il pranzo si tiene in uno stanzone buio, alla luce di una candela che, per gli spifferi, stenta a mantenere viva la fiamma. C’è ancora vita, in questo paese, basta allontanarsi dal cuore dello smottamento , che distrusse decine di case ma non fece morti. Pochi giorni dopo il disastro, arrivò l’emergenza. Intervenne la Protezione civile con il suo capo, Guido Bertolaso - nominato commissario straordinario per la ricostruzione - , e quindi, d’accordo con l’amministrazione comunale, si pervenne alla decisione finale: “Delocalizzare” il centro abitato. Innalzare la “new town”. Cavallerizzo non è più sicura, si disse, ma - senza mettere in dubbio l’assunto - registriamo un fatto: gli studi effettuati dalla Protezione civile, quelli che dimostrano l’insicurezza del paese, quelli che spostano la scelta, da un piano emotivo-affaristico, a un livello scientifico, furono consegnati alla popolazione soltanto quattro anni dopo. Nell’ottobre 2009. Quattro anni dopo una scelta irreversibile. Quattro anni che hanno diviso in due una comunità, che prima era unita, e oggi si spacca, tra coloro che vorrebbero restare in paese, e chiedono l’intervento dello Stato, per metterlo in sicurezza, e gli altri che, invece, attendono l’inaugurazione del nuovo borgo. Cinque anni dopo siamo dinanzi a un paradosso: la futura “new town” – 247 appartamenti, 60 milioni di euro – rischia di restare disabitata.

Il contatore luminoso – quello che segna “meno 359” – lo volle il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, nel marzo 2008: “I tempi saranno rispettati”, disse. “Abbiamo messo un segnatempo, una sorta di conto alla rovescia, in modo che quando arriveremo alla consegna, al mitico ‘zero’, sarà il giorno in cui potremo consegnare tutti gli appartamenti a tutti i cittadini di Cavallerizzo”. Le sue parole furono registrate e trasmesse da una tv locale: “740 giorni per la consegna”, annunciava la telecronista, presentando il servizio. Da allora sono trascorsi 22 mesi. Quasi 700 giorni. E qualcuno ha dovuto resettare il contatore e farlo ripartire: i tempi non sono stati rispettati. Se tutto va bene, la “new town” sarà pronta tra un anno. E se tutto va bene, comunque, tra un anno non sarà completa. A parlare con capicantiere e ingegneri si scopre che, nel conteggio, non è prevista né la costruzione della scuola, né quella del municipio (o meglio: della circoscrizione, visto che Cavallerizzo è una frazione del comune di Cerzeto). Scuola e municipio non sono neanche state progettate. Non esistono. Neanche sulla carta. Non funziona neanche quello che potrebbe funzionare. E cioè la zona industriale. Inaugurata da Bertolaso, nello stesso giorno in cui partì il contatore, e mai utilizzata. “Se c’è un esempio virtuoso di costruzione – disse Bertolaso dopo aver tagliato il nastro – è quello del Friuli Venezia Giulia dove, dopo quel terribile terremoto, i friulani non soltanto seppero costruire, ma rilanciarono la propria economia, grazie agli investimenti, fatti prima nel settore industriale, e poi, dopo, nella costruzione delle case. Seguiremo quel modello, ovviamente in piccolo, e credo che, l’aver puntato sulla riapertura delle attività economiche, sia stato un segnale importante”. D’importante, due anni dopo, è che il capannone da 1.500 metri quadri è ancora desolatamente vuoto. Inaugurato. Collaudato. Ma vuoto. “Sarà che gli imprenditori hanno cambiato idea”, dice l’ex sindaco di Cerzeto, Ermenegildo Lata. “Tornando a lavorare perderebbero i contributi legati all’emergenza”. Sarà. Il commissario prefettizio, però, aggiunge una motivazione. E non è da poco. “Innanzitutto – spiega Paola Galeona – gli ultimi lavori per renderli agibili sono stati ultimati soltanto un paio di mesi fa. Ma soprattutto, sono stati consegnati dal prefetto al comune, per il passaggio di proprietà, che costa, sommando entrambi gli immobili, 150 mila euro”. Ed ecco il problema: “Il comune, tutti questi soldi, non ce li ha. Siamo già fortunati a non aver dichiarato il dissesto finanziario”. E quindi? “E quindi ho scritto alla Protezione civile, affinché sia lo Stato ad accollarsi la spesa, anche perché, in questo modo, risolveremmo in partenza il problema degli appartamenti, che si ripresenterà quando saranno pronti”. Il problema degli appartamenti: chi pagherà il passaggio di proprietà, per i 247 alloggi in costruzione, che è senza dubbio superiore ai 150 mila euro dei capannoni? Non è dato saperlo. Quei soldi, il comune di Cerzeto, non ce li ha. È l’unico dato certo. Il punto è che tutta la trattativa per la de-localizzazione del paese è stata portata avanti dal comune di Cerzeto, che prima acquisirà i nuovi appartamenti, e poi li girerà agli abitanti. Fosse soltanto questo. Il paradosso è quasi completo quando sentiamo l’ex sindaco ammettere: “Il rischio che quegli appartamenti restino vuoti, e quindi che l’intero paese nuovo resti disabitato, è un rischio concreto. La popolazione si sta sfaldando. S’è spaccata in due”. “Il rischio c’è, ma è contenuto”, ammette anche il commissario prefettizio, “perché soltanto una minoranza vorrebbe restare nel vecchio paese e ha deciso di non trasferirsi”. E qui, il paradosso, si chiude: “Se le perizie lo permetteranno, alcune case del paese franato, potrebbero essere messe in sicurezza e consolidate. Ho chiesto ai tecnici di Bertolaso di effettuare ulteriori controlli e verificare se è possibile”.

Se sarà possibile, quindi, sarà nato un nuovo paese, costato circa 60 milioni di euro, che rischia di restare disabitato. Come i capannoni costruiti e inutilizzati. Per di più, saranno stanziati altri soldi, per consolidare le vecchie case, che molti abitanti di Cavallerizzo non hanno alcuna intenzione di lasciare. Abitanti come Liliana Bianco. Che ci accoglie nella sua casa, al centro del paese, dove abita con un figlio e parecchi gatti. In quella casa, Liliana, non ci potrebbe proprio stare. Glielo vieta la legge. Ma il 23 luglio 2009, Liliana, ha rotto i lucchetti della cancellata che isola il paese. Dopo aver scritto personalmente a Bertolaso: “La sottoscritta Liliana Bianco, comunica a codesto dipartimento che il 24 luglio rientrerà nella propria abitazione, situata nella zona gialla di Cavallerizzo, in piazza san Giorgio, assumendosi tutte le responsabilità che tale azione comporta. S’allega la relazione geologica redatta dal professor Fabio Ietto, dell’Università della Calabria”. E da allora, Liliana Bianco, non ha più lasciato il suo appartamento. Il punto è che quando Liliana rientra in casa, gli studi geologici sulla frana commissionati dalla Protezione civile – quelli che hanno supportato la scelta di delocalizzare il paese e costruire la new town – non sono ancora stati distribuiti alla popolazione. Che li aspetta dal marzo 2005. Liliana potrà leggerli soltanto quattro mesi dopo, nel novembre 2009, quando vengono trasmessi all’associazione “Cavallerizzo Vive” che, nel frattempo, è stata creata proprio per dissenso alla new town. Tra le mani, Liliana, ha gli studi commissionati al geologo Fabio Ietto. Il geologo oggi ci spiega che la frana, secondo gli studi della Protezione civile, causò “gravissimi danni soltanto all’11,5% del costruito totale. Nessuna presenza di scivolamento è stata rilevata nel centro storico, le cui abitazioni, a tutt’oggi, si presentano perfettamente intatte”. “L’abitato di Cavallerizzo – continua – fu interamente evacuato per motivi di sicurezza. Le autorità responsabili, ancor prima di ricevere ufficialmente le relazioni tecniche definitive dell’Università di Firenze e del CNR, divulgarono con estrema celerità e sicurezza la diffusa pericolosità da frana dell’intero abitato di Cavallerizzo, proponendo, al contempo, le aree per la nuova localizzazione”.

Insomma, si potrebbe mettere in sicurezza la vecchia Cavallerizzo. E la new town avrebbe poche ragioni d’esistere. Si tratta di una diatriba tra scienziati, sulla quale non possiamo dir nulla, se non che la costruzione della “new town”, nonostante il coinvolgimento della popolazione, è risultata piuttosto lacerante.

“La scelta di costruire un nuovo paese è stata puramente politica. Frutto di interessi locali e non”, dice Antonio Madotto, dell’associazione “Cavallerizzo Vive”. “La ricostruzione – aggiunge – ha seguito tappe che nulla hanno a che fare con la trasparenza e la pubblicazione degli atti, frutto di procedimenti pubblici, ma di fatto nascosti. Le nostre istanze di accesso agli atti sono ignorate. La ricostruzione, secondo noi, è un’azione di speculazione edilizia, finalizzata a costruire un nuovo quartiere popolare. Far rinascere Cavallerizzo, mentre questa ‘deportazione forzata’ ha diviso il tessuto sociale del paese, significa salvaguardare un patrimonio storico, culturale e ambientale, che non può essere cancellato”. A conforto della propria posizione, Madotto, mostra due note del ministero per i Beni culturali, indirizzate all’ex sindaco Ermenegildo Lata. “Appare assolutamente necessario e urgente provvedere alla conservazione del nucleo storico di Cavallerizzo”, si legge nella prima missiva, datata 16 aprile 2009. “Nonostante la parziale frana – prosegue il ministero – Cavallerizzo rappresenta un complesso urbanistico architettonico di eccezionale valore, che verrebbe a perdere ogni significato, anche di memoria collettiva, se si seguisse il semplicistico criterio di “demolizione-sostituzione. Appare urgente e indispensabile un’adeguata azione di restauro che investa l’intero centro storico”. Tre mesi dopo il ministero torna a scrivere: “Spiace constatare che non v’è stato alcun riscontro alla nota del 16 aprile, in cui si segnalava la necessità di tutela d’un sito d’eccezionale valore storico e paesaggistico, quale Cavallerizzo, la cui frana ha interessato, in maniera soltanto marginale, una piccola e limitata parte del tessuto storico”. La frana quindi, secondo il ministero, ha interessato – per di più in “maniera marginale” – soltanto una “parte piccola e limitata del centro storico”. Insomma: sull’entità del disastro non c’è nessuno che la pensi allo stesso modo. Neanche all’interno del governo. Figurarsi tra la popolazione. Graziano Golemme è un esponente del “Comitato cittadino per Cavallerizzo”, fazione opposta a quella di Antonio Madotto, e quindi favorevole alla “new town”. “Il progetto del nuovo paese – spiega – è stato condiviso dalla popolazione. Ci sono stati incontri con la prefettura, abbiamo potuto modificare parte delle nuove case secondo le nostre esigenze, conosciamo già i nostri appartamenti, nonostante non siano stati ancora consegnati. Siamo soddisfatti. Non si tratta di case popolari e sono stati rispettati i rapporti di vicinato. Torneremo tutti gli uni vicini agli altri. Come nel vecchio paese”. Il progetto della nuova Cavallerizzo, infatti, è un rifacimento moderno della vecchia pianta architettonica, costituita da cinque “Gjtonie”, cioè cinque rioni, in lingua Arbereshe, poiché questo è un paese di origini albanesi. Una struttura a forma di fiore che l’impresa costruttrice Zinzi – sotto la guida dell’ingegner Claudio Rinaldi, e la progettazione di AnnaLaura Spalla ed Eustachio Femia – dovrebbe portare a termine entro un anno. Nella progettazione – come abbiamo già scritto – mancano però i luoghi di aggregazione di qualsiasi comunità: la scuola, il municipio, la chiesa. Il progetto ha vinto anche un premio, al “Saie” di Bologna, nel novembre 2009, per la “sostenibilità ambientale e sociale”. Sulla carta, quindi, un’idea vincente. Tanto che l’architetto AnnaLaura Spalla ne ha già tratto un libro – “Fare un paese: emergenza e ricostruzione a Cavallerizzo” – nel quale sottolinea d’aver seguito, oltre quelli urbanistici, soprattutto dei criteri sociali. “La Gjitonia prevede il contatto fisico”, dice in un’intervista a “Eco-zoom tv”, “La Gjtonia si regge sul contatto fisico e visivo: prevede di stare sulle scale di casa propria. E di parlare con il vicino”. E le nuove case – solitamente palazzine a tre piani – hanno tutte o quasi una scaletta esterna. Tra le tante carte, però, ce ne sono altre che non parlano di premi. Sono atti giudiziari. Che riguardano, per esempio, l’ingegnere Claudio Rinaldi, indagato a Roma , nel suo ruolo di “commissario straordinario dei Mondiali di nuoto”, dal pm Sergio Colaiocco, per presunti abusi nel piano urbanistico. Una posizione minore, nell’inchiesta romana, che potrebbe essere presto archiviata, ma che, comunque, non sembra il migliore biglietto da visita per una ricostruzione da 60 milioni di euro, stanziati dallo Stato, con il criterio dell’emergenza targato Bertolaso. Indagato, dalla Procura di Bologna, per una presunta “turbativa d’asta” nella ristrutturazione di un edificio , anche l’architetto genovese Alfonso Femia, che oltre la nuova Cavallerizzo, ha progettato il grattacielo più alto dell’Expo di Milano. Femia, con il collega Gianluca Peluffo, ha da tempo fondato lo studio “5+1AA”, che è parecchio quotato in tutta Italia, ed è presente a Genova, Milano e Parigi. Grandi firme, quindi, per un progetto che potrebbe franare più del vecchio paese. E infatti, tranne la vecchia frana, i soldi e il cemento, tutti gli elementi di questa storia sono un omaggio al surreale. Non per colpa di costruttori e operai. Che comunque stanno lavorando a ritmo serrato. Adesso il cantiere è pieno di aziende in sub appalto. Si lavora alacremente. E sono scomparse le minacce della 'Ndrangheta che, all’inizio, aveva lanciato parecchi avvertimenti (danneggiamenti e qualche incendio) al costruttore. Avvertimenti che si sono placati, mentre l’inchiesta aperta, contro ignoti, dalla Procura di Catanzaro, non è approdata a nulla . Così va la ricostruzione di Cavallerizzo. Case incomplete. Scuola e municipio mai progettati. La signora Bianco, mentre ci allontaniamo da Cavallerizzo, quella in cui abita ancora, mostra i documenti ai carabinieri. L’hanno identificata. Non può stare lì. Ma ci resta. Con altre amiche. Liliana e le altre preferiscono essere arrestate, piuttosto che lasciare la vecchia casa, per il nuovo villaggio, e il suo contatore, che segna i giorni man-canti. Alla rinascita. O al fallimento.

www.CavallerizzoVive.com