venerdì 19 marzo 2010

Costosa e fuorilegge il Tar boccia la "New Town" di Cavallerizzo (Cs)


I giudici amministrativi contestano alla Protezione Civile lo scavalcamento delle Valutazioni di Impatto Ambientale, e il costo, che ha superato di dieci volte quello per l’eventuale consolidamento del vecchio paese.

Le new town disegnate da Guido Bertolaso e Protezione civile per ricostruire il Sud che si sgretola sotto le frane, sono già fallite; sopratutto la magistratura cassa il principio dell’emergenza in deroga alle leggi su appalti e lavori pubblici. Una sentenza del Tar del Lazio di giovedì scorso ha infatti definito «illogiche» e «irragionevoli» le procedure d’urgenza adottate per ricostruire il paese di Cavallerizzo di Cerzeto, Cosenza. Una sentenza contro la quale il dipartimento nazionale Protezione civile vuole presentare ricorso perché ha sostenuto oggi in Calabria l’ingner De Bernardinis, vice di Bertolaso la maggioranza delle 264 case ricostruite nella «New Town modello» (definizione del Guido del fare) sono state approvate dagli abitanti, e perché un giudice non può entrare nel merito della delocalizzazione di un paese. «A ognuno la sua competenza». E alla Protezione civile vogliono mantenere la possibilità di creare tante nuove piccole l’Aquila in giro per un Paese che continua a franare: vecchi borghi disabitati e nuove cittadelle in cemento armato più a valle, senz’anima e senza servizi.

LA VICENDA
Il 7 marzo 2005 una frana minò il borgo antico, piccolo insediamento arbereshe, la minoranza albanese di Calabria; la Protezione civile, d’urgenza, decise di costruire una new town a valle con progetto definitivo del 31 luglio 2007; il sotto-segretario Bertolaso, in visita a Cavallerizzo in marzo, osservò la voragine di 30 metri che portò a valle 30 case, disabitate e in gran parte abusive perché costruite lungo
argini, e decise che nessuno in paese potesse più stare nel borgo abbarbicato alla roccia. Non era sicuro; il vecchio abitato sarebbe diventato un paese fantasma, stesso rischio del centro storico dell’Aquila nelle mani della Protezione civile marca B&B, o di Maierato, o San Fratello sui Nebrodi, o tutti i paesini che franano nei mesi del Meridione in dissesto geologico. Contro la prospettiva dello spopolamento si costituì una associazione di cittadini per il restauro e la messa in sicurezza del vecchio abitato, denominata «Cavallerizzo vive», che attirò anche l’attenzione di AnnoZero. Il comitato civico impugnò i progetti della Protezione civile e fece ricorso presso i giudici amministrativi, che ora hanno bloccato come illegittimo il progetto della nuova Cavallerizzo.

COSTI E ABUSI
Ma ora che è arrivato lo stop il paese in cemento è costruito all’80%, con una spesa erariale di 60 milioni. E un piccolo particolare: la Protezione civile non ha atteso l’esito della Valutazione di Impatto ambientale richiesta nel 2006; in mancanza del via libera della commissione sull’impatto ambientale, è stato illegittimo aprire il cantiere. Secondo i professionisti, Bertolaso ha costruito la nuova città in un terreno «altrettanto franoso quanto il sito dell’antica Cavallerizzo». Ultimo particolare: ricostruire il villaggio più in basso è costato 10 volte di più di quanto i tecnici hanno calcolato costerebbe consolidare il terreno franoso del vecchio paesino.

di Gianluca Ursini


giovedì 18 marzo 2010

Anche il Tar del Lazio dice no allo strapotere di Guido Bertolaso

di Luigi Guido

Le procedure d’urgenza della Protezione civile non giustificano ogni cosa. I decreti d’emergenza non derogano a tutte le normative in materia di disastri naturali. Se un paese è colpito da una calamità, come una frana o un terremoto, corre comunque l’obbligo di rispettarle certe regole, prima di decidere se e dove e come costruire altrove (ma non dovunque) un centro urbano nuovo di sana pianta. Sono questi i due capisaldi di una sentenza con cui il tribunale amministrativo del Lazio annulla il progetto di ricostruzione d’una delle prime new town realizzate in Italia con il marchio di Guido Bertolaso. È un modello che “crolla”. Perché la new town è quella di Cavallerizzo di Cerzeto, frazione incastonata a nord della Calabria, sul versante interno dell’appennino paolano, in provincia di Cosenza, colpita da una frana esattamente cinque anni fa, quindi ben prima dei disastri abruzzesi e siciliani.

Il 7 marzo 2005, un fianco della frazione di Cavallerizzo finisce a valle. Una falda acquifera esplode, rimpinguata dalle piogge e dalle copiose perdite dell’acquedotto che foraggia l’intera provincia di Cosenza. Il collasso lascia una voragine alta trenta metri. Giù finiscono pure le case che vi stavano sopra, una trentina in tutto, posticce, tirate su spesso abusivamente e persino su corsi d’acqua di superficie. La popolazione sapeva già ogni cosa. Erano pronti alla fuga con una settimana d’anticipo sul disastro, solo questo ha impedito che ci scappasse più di qualche morto. Vanno via tutti e, da quel giorno, nessuno potrà mai più rimetter piede a casa propria. Anche se a crollare è stato solo il dodici per cento del paese, la parte posticcia appunto. Mentre il resto è ancora tutto lì, integro, neppure un segno. L’area in questione è da sempre nota a tutti per la sua secolare fragilità. Altrettanto secolare è però la comunità italo-albanese (parlano due lingue, l’italiano e l’arbëresh) che vive nei comuni del Cosentino, compreso Cerzeto. Nascevano sulla pietra, cinquecento anni fa, i primi insediamenti. E sulla pietra sono rimasti, come la frazione di Cavallerizzo, dove non è mai franato nulla, neppure un segno, nemmeno negli ultimi due anni di flagello invernale continuo.

Ma l’evento di cinque anni fa ha spaventato tutti. In quei giorni il capo della Protezione civile è stato tempestivo. Ha fatto sentire la sua vicinanza alla gente del posto, come da nota consuetudine. E confortando i trecento cittadini ha subito proposto una nuova città, tutta per loro, uguale a quella che stavano lasciando. Accadde quel che spesso succede: una parte della popolazione fu immediatamente d’accordo, un’altra restò perplessa. Dopo un anno dalla frana le carte della ricostruzione sono andate avanti, anche se nel frattempo c‘era un sempre più crescente numero di cittadini a cui passava la paura e anzi gli tornava la voglia di riaprire la vecchia casa. Quelle carte sono essenzialmente due verbali: con il primo, datato 1 marzo 2006, si approva il progetto preliminare; col secondo, il 31 luglio 2007, quello definitivo. Accadde pure che i progetti non presentavano alcunché di lontanamente simile, ovviamente, al vecchio e pure indenne centro storico.

La sentenza del Tar Lazio annulla entrambi i verbali. Merito o colpa, dipende dal punto vista, di un gruppo di giovani del borgo arbëresh, che s’è scapicollato per fermare quel che chiamano «il vero ecomostro», soprattutto perché «non c’era alcun bisogno di de-localizzare il paese». Merito o colpa dello studio legale fiorentino degli avvocati Tagliaferro-Caretti-Palaja, che ha deciso di sposare la causa di quei giovani. Merito o colpa di uno staff di geologi che ha certificato come il nuovo sito sia franoso quanto se non più dell’area franata. Ora cantano vittoria tutti e con loro i padri, le madri, i nonni e gli altri abitanti – ma non tutti – da sempre contrari all’idea di andar via dalle loro case. Ma questa è un’altra storia, che inizia cinque anni fa e che oggi vede chiudere soltanto un capitolo. Perché ciò che conta, per i giudici romani, è che il Governo fa leva sull’emergenza per ricostruire nuovi paesi interi senza osservare alcuno dei criteri normativi previsti dalle leggi italiane. Il che, evidentemente, non è possibile, specie quando si salta a piè pari tutta una serie di procedure di garanzia, non ultima la Valutazione d’impatto ambientale. «Nel merito – scrivono i giudici della Prima sezione del Tar Lazio -, l’impugnativa avverso il verbale della conferenza di servizi del 31 luglio 2007, con cui è stato approvato il progetto definitivo per la delocalizzazione della frazione Cavallerizzo in località Pianette è fondata e va accolta. In particolare – aggiungono -, si rivela fondata la censura con cui è stata evidenziata la omessa valutazione di impatto ambientale richiesta dal d.lg. 152/2006».

È una sentenza, questa, che manderà in fibrillazione l’intero apparato di sottogoverno guidato da Bertolaso, perché mette in discussione il modus operandi adottato sino ad oggi dalla Protezione civile italiana. Non sono bastate le eccezioni dell’Avvocatura dello Stato, la quale sostiene che in presenza di un’emergenza diventa «improcrastinabile la necessità di individuare l’area per la ricostruzione del centro abitato in situazione di sicurezza», ragion per cui si può ritenere «di dover accelerare il procedimento tecnico-amministrativo» usufruendo delle speciali deroghe previste in materia: che non bastano, perché tutto ciò, si legge ancora nella sentenza depositata due giorni fa nella cancelleria romana, è «irragionevole» e «illogico». La decisione arriva però a lavori di costruzione molto avanzati, compiuti almeno all’80 per cento, e con una spesa già sostenuta che sfiora i 60 milioni d’euro prelevati dalle casse pubbliche. Annullato il “titolo” a costruire, la vicenda diventa più controversa di quanto lo fosse in partenza. Soprattutto se si considera che i piani delle ricostruzioni progettate in Italia dalla Protezione civile (L’Aquila compresa) prendono spunto proprio dal modello della “Nuova Cavallerizzo”.
la cimiteriale new town di Cerzeto, modello per il futuro delle ricostruzioni in Italia, a cura della Protezione civile - comunque - SpA

lunedì 15 marzo 2010

Le new town "made in Bertolaso"? Abusive


di Antonio Massari
da il Fatto Quotidiano del 5 marzo 2010

Che fosse un gran pasticcio – e non soltanto per la spesa: ben 60 milioni di euro – s'era capito da tempo. Il pasticcio, però, ieri è stato certificato da una sentenza del Tar del Lazio. La "new town" calabrese fortemente voluta dalla Protezione civile targata Guido Bertolaso - il nuovo centro urbano che avrebbe dovuto sostituire Cavallerizzo, il paese colpito da una frana nel 2005 - rischia di franare, a sua volta, sotto i colpi degli atti giudiziari.

La “new town” - tuttora incompleta - è infatti priva d'un elemento essenziale: la procedura di valutazione ambientale. Non solo. È stata annullata la decisione di “delocalizzare la frazione di Cavallerizzo”: il Tar ha “annullato il verbale del 31 luglio 2007, con il quale, la conferenza dei servizi, ha approvato il progetto definitivo di ricostruzione in località Pianette”.
Semplificando: è stato annullato l'atto che disponeva la delocalizzazione, ovvero la costruzione della “new town” che quindi, adesso, non poggia su alcun fondamento giuridico. Il ricorso è stato presentato dall'associazione “Cavallerizzo Vive” e il suo accoglimento, ottenuto dagli avvocati Riccardo Tagliaferri e Alberto Carretti, può produrre conseguenze molteplici. Innanzitutto: l'interruzione dei lavori, in ritardo già d'un anno e costati, finora, sessanta milioni di euro. Senza contare le ripercussioni sociali: la “de-localizzazione” ha già spaccato la comunità di Cavallerizzo, divisa tra chi desidera una nuova casa in un nuovo paese, e chi, al contrario, sogna di recuperare la vecchia casa nell'antico borgo.

La sentenza emessa ieri dal Tar rischia ora di esasperare gli animi. Ed è il segno tangibile che la “soluzione” della “new town” non ha risolto nulla: a cinque anni dalla frana, il nuovo paese non è completato; gli abitanti vivono in affitto e le pigioni sono pagate con i soldi dello Stato; la comunità è lacerata in maniera irreparabile. Certo, il governo e la Protezione civile, ricorrendo al Consiglio di Stato, potrebbero ribaltare la situazione, ma la sentenza di ieri dimostra un fatto: il pasticcio c'è. E non vale, per risolverlo, ricorrere al dogma dell'emergenza. Il Tar sancisce che non sempre, una situazione d'emergenza, consente d'eludere la Valutazione d'impatto ambientale. Oltre l'emergenza “urgente”, deve esserci un “pericolo immediato, non altrimenti eliminabile”.

Requisito che può esistere quando si decide “se” delocalizzare. Requisito che manca, invece, quando si decide “dove” delocalizzare. Per Antonio Madotto, dell'associazione “Cavallerizzo Vive”, la sentenza del Tar è un motivo di speranza: “Il nostro ricorso – dice – nasce da un unico motivo: vogliamo tornare a casa nostra, nell'antica Cavallerizzo. Di fatto, con questa sentenza, è stata sospesa la ricostruzione. E quindi: ora si potrebbe, finalmente, recuperare il nostro centro storico. Un recupero che ci consentirebbe di rientrare nelle nostre case”. Per molti altri, la stessa sentenza, è motivo di disperazione: “Il risultato di questo ricorso”, conclude Madotto, “alimenterà la nostra divisione: comprendo il dramma di chi, dopo questa sentenza, rischiano di non avere una nuova casa. Ma la responsabilità non è nostra. È di chi non è stato trasparente nelle procedure e ha spaccato la nostra comunità. Sprecando 60 milioni di euro. Utili soltanto per l'ennesima speculazione edilizia”.

www.CavallerizzoVive.com